
Due giorni fa, sono comparsi grossi titoli di giornale su un tema tanto caro a una certa trita visione del mondo, quella del «quanto ci costa» questo o quel cattivone. Nel caso specifico, si riportavano i dati della cosiddetta evasione dell’Iva in Italia, riferendo con strepito numeri assoluti senza un minimo di contestualizzazione. «Evasione, il record italiano»: il dato, nudo e crudo, riportato da alcuni giornali con grande scandalo è che in Italia nel 2020 si sono «evasi» 26,2 miliardi di euro di Iva. In Francia 14 miliardi e in Germania 11,1. Dunque, la solita caricatura dell’Italietta «evasora», allergica alle regole e affetta dal mitico familismo amorale. Una bandiera utile alla battaglia politica di retroguardia per ostacolare l’uso del contante e imporre i pagamenti elettronici.
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Primo, le entrate attese dell’Iva per il 2020, per come sono calcolate, non tengono conto integralmente del calo del giro d’affari dovuto al lockdown, che peraltro in Italia è stato più lungo che altrove. Secondo, il report della Commissione sull’Italia è in realtà assai positivo, perché sul 2020 mostra un netto miglioramento rispetto al 2019, mentre i dati preliminari del 2021 sono addirittura ottimi.
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se passiamo ad analizzare il Vat compliance gap, cioè l’indicatore di mancato gettito rispetto alle attese, osservando il dato in prospettiva storica, si nota come il mancato gettito sia in realtà in calo e nel 2020 sia sceso di un punto percentuale rispetto al 2019 (da 31 a 26,2 miliardi in valore assoluto). Cioè il gettito reale rispetto alle attese è salito. Si tratta di una tendenza in atto almeno dal 2016: da allora al 2020 il gettito reale è migliorato del 5,7%.
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Lo stesso commissario Paolo Gentiloni, presentando il rapporto tre giorni fa, ha detto che dei 93 miliardi di mancato gettito relativo a tutta l’Unione, solo circa un quarto è relativo a frodi.